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Nuove frontiere nella paleontologia: proteine conservate nei denti rivelano informazioni di 23 milioni di anni fa

Illustrazione di una ricercatrice (Canva FOTO) - sciencecue.it

Illustrazione di una ricercatrice (Canva FOTO) - sciencecue.it

Le proteine fossili possono permetterci di ricostruire le parentele con gli antenati, con il passato, e questa volta ci siamo spinti oltre.

L’idea che un fossile possa parlare è affascinante. Eppure, negli ultimi anni, scienziati e paleontologi stanno grandi scoperte a livello molecolare. Non si tratta di DNA, che dopo un milione di anni tende a sparire, ma di qualcosa di ancora più resistente: le proteine. E i risultati sono sempre più sorprendenti.

Un esempio? Due ricerche pubblicate su Nature nel luglio 2025 hanno riportato l’analisi di alcune delle proteine più antiche mai sequenziate. Arrivano da un dente vecchio di oltre 20 milioni di anni, appartenuto a un “antenato” dei rinoceronti. Il reperto era conservato da tempo in un museo canadese, ma solo oggi, grazie alla tecnologia, ha rivelato il suo codice nascosto.

Finora si pensava che solo resti ben più “recenti”, come quelli del Pleistocene, potessero offrire dati molecolari affidabili. Ma questi nuovi frammenti proteici, recuperati da smalti dentali antichissimi, hanno permesso di ricostruire relazioni evolutive fino a prima del Miocene. 

Il campione più sorprendente proviene dal cratere di Haughton, nel nord del Canada, dove il clima gelido ha conservato intatte porzioni di proteine nello smalto di un molare. Analizzando oltre 250 amminoacidi distribuiti in sette diverse proteine, è stato possibile collocare questa specie estinta, Epiaceratherium itjilik, su un ramo profondamente distinto dell’albero genealogico dei rinoceronti.

Perché le proteine sono molto importanti?

Quando si parla di fossili, il pensiero va subito a ossa, impronte, conchiglie. Ma negli ultimi anni, le proteine stanno diventando il “nuovo linguaggio segreto” per capire l’evoluzione. Più stabili del DNA, resistono al tempo molto più a lungo,specie se protette all’interno di materiali densi come lo smalto dei denti. Non è facile ottenerle: ci vogliono strumenti sensibili e ambienti ideali. Ma quando si trovano, aprono squarci su epoche che prima sembravano irraggiungibili.

Il problema, fino a poco fa, era proprio questo: nessuno si aspettava che si potessero ancora “leggere” proteine vecchie di milioni di anni. Eppure, con strumenti come la spettrometria di massa e l’analisi degli amminoacidi, oggi si riesce a ricostruire intere sequenze proteiche anche da fossili del Miocene.

Illustrazione di alcuni ricercatori (Canva foto) sciencecue.it
Illustrazione di alcuni ricercatori (Canva foto) sciencecue.it

Alcune scoperte eccezionali!

Nel caso dello studio guidato da Enrico Cappellini e Ryan Paterson, il protagonista è un dente proveniente dal cratere Haughton, sull’isola di Devon (Canada artico), risalente a circa 23 milioni di anni fa. Analizzando i frammenti proteici di sette proteine dello smalto, i ricercatori hanno identificato oltre 1.000 “peptide-spectrum matches”, dati sufficienti per mappare almeno 251 amminoacidi e determinare la posizione filogenetica della specie. Ed è qui la sorpresa: Epiaceratherium itjilik si colloca su un ramo del gruppo dei rinoceronti ben più antico di quanto si pensasse, distaccandosi tra i 41 e i 25 milioni di anni fa, molto prima degli altri rami moderni.

Questa scoperta ha ribaltato la vecchia ipotesi di una profonda divisione tra le due grandi linee dei rinoceronti: Rhinocerotinae (che include anche il rinoceronte lanoso) ed Elasmotheriinae (come il celebre “unicorno siberiano”). I nuovi dati suggeriscono invece che Epiaceratherium sia più antico di entrambe, e che queste due linee si siano separate in tempi più recenti, tra i 34 e i 22 milioni di anni fa. Il tutto è reso possibile dalla straordinaria conservazione delle proteine nello smalto dentale, grazie al clima polare che ne ha rallentato la degradazione. In pratica, un “archivio molecolare” perfettamente sigillato nel freddo del Nord.