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Fango e orme forniscono nuove evidenze: i dinosauri potrebbero essere più lenti di quanto pensassimo

Illustrazione di alcuni dinosauri durante una corsa (Canva FOTO) - sciencecue.it

Illustrazione di alcuni dinosauri durante una corsa (Canva FOTO) - sciencecue.it

Dimenticate le corse alla Jurassic Park. Alcuni dinosauri non erano molto veloci, e queste prove lo confermano alcune impronte.

C’è questa vecchia domanda che ciclicamente ritorna: quanto erano veloci i dinosauri? A prima vista sembra semplice, basta trovare delle impronte, misurare la lunghezza del passo, fare due conti e il gioco è fatto. E invece no, la realtà è un po’ più complicata. Per anni, i paleontologi si sono affidati a una formula matematica per stimare la velocità di corsa, ma uno studio offre uno scorcio diverso grazie…alle faraone.

In effetti, le faraone (più precisamente, Numida meleagris) sono sono uccelli, e di conseguenza sono teropodi aviani (quindi, dinosauri!). E sono state scelte come cavie in un esperimento curioso ma efficace: farle correre sul fango. Ma non un solo tipo di fango: gli scienziati le hanno fatte camminare su superfici più o meno morbide per vedere se i classici calcoli basati sulla lunghezza del passo riuscivano a prevedere correttamente la loro velocità reale.

Risultato? Non proprio quello che ci si aspettava. Le velocità stimate dai calcoli erano sistematicamente più alte di quelle realmente misurate con video ad alta velocità. E non solo: a volte le faraone lasciavano impronte identiche pur correndo a velocità diverse.

Va detto che non è la prima volta che si prova a usare le faraone per questo tipo di test. In passato lo avevano già fatto, ma con gli uccelli su tapis roulant, dove il terreno è sempre uguale e prevedibile. Ma un dinosauro, per ovvie ragioni, non correva su superfici lisce e regolari. Il terreno naturale (morbido, cedevole, irregolare) introduce tutta una serie di variabili che rendono le stime molto meno affidabili di quanto si pensasse.

I conti non tornano

Gli autori dello studio, pubblicato su Biology Letters, hanno messo a punto un metodo semplice ma efficace: hanno ripreso due faraone in corsa su diversi tipi di fango, poi hanno usato la fotogrammetria per ricostruire in 3D le tracce lasciate dalle zampe. A quel punto, hanno applicato le classiche equazioni usate per stimare la velocità, come quella di Alexander, che lega la lunghezza del passo all’altezza dell’anca e alla forza di gravità.

Eppure, nessuna delle formule ha restituito un risultato attendibile. In particolare, la discrepanza è risultata marcata a velocità più basse, dove ci si aspetterebbe passi più corti man mano che la velocità diminuisce, cosa che non è accaduta. In certi casi, due passi identici corrispondevano a velocità molto diverse, dimostrando che la lunghezza del passo non riflette necessariamente l’accelerazione o la decelerazione, specialmente su superfici deformabili.

Illustrazione di alcune impronte (Canva FOTO) - sciencecue.it
Illustrazione di alcune impronte (Canva FOTO) – sciencecue.it

Troppe variabili per un’unica formula

Il punto cruciale dello studio è che tutte queste equazioni si basano su dati derivati soprattutto da mammiferi, e quasi mai da uccelli o da animali su suoli molli. In più, molte delle stime tradizionali assumono che l’altezza dell’anca sia sempre quattro volte la lunghezza dell’impronta, un’approssimazione che introduce un bel po’ di incertezza. Quando poi il piede affonda nel fango, la lunghezza apparente della traccia può variare parecchio a seconda della pressione esercitata, della consistenza del terreno e di come si conserva la traccia nel tempo.

Gli autori non propongono un’equazione alternativa né un fattore di correzione, proprio perché temono che ogni formula nuova possa essere valida solo in un contesto specifico. Finché non ci saranno più dati da uccelli e altri animali che camminano su superfici realistiche, sarebbe più saggio parlare di velocità in termini generici, senza pretendere troppa esattezza.