Pandemie: l’Intelligenza Artificiale può ridurre il rischio con modelli predittivi più precisi del 30%

Medicina e AI (depositphotos foto) - www.sciencecue.it
Ecco come l’AI potrebbe aiutarci a prevenire le pandemie del futuro. Si tratterà di una vera e propria svolta.
Uno studio pubblicato su Nature descrive per la prima volta come i progressi nell’intelligenza artificiale possano accelerare le scoperte nella ricerca sulle malattie infettive e nella risposta ai focolai epidemici.
Lo studio, pubblicato dopo l’AI Action Summit della scorsa settimana e nel contesto di un crescente dibattito globale sugli investimenti e la regolamentazione dell’IA, pone particolare enfasi sulla sicurezza, la responsabilità e l’etica nell’uso dell’intelligenza artificiale nella ricerca sulle malattie infettive. Sottolineando la necessità di un ambiente collaborativo e trasparente, sia per quanto riguarda i dataset che i modelli di IA, la ricerca è frutto di una collaborazione tra scienziati dell’Università di Oxford e colleghi di istituzioni accademiche, industriali e politiche in Africa, America, Asia, Australia ed Europa.
Finora, le applicazioni mediche dell’IA si sono concentrate principalmente sull’assistenza ai singoli pazienti, migliorando ad esempio la diagnostica clinica, la medicina di precisione o il supporto alle decisioni terapeutiche. Questo studio, invece, analizza il potenziale dell’IA nella salute pubblica e nella gestione delle epidemie.
Uno dei risultati chiave della ricerca è che i recenti progressi nei metodi di IA permettono performance migliori anche con dati limitati, superando un ostacolo significativo fino ad oggi. Questa maggiore capacità di analizzare dati “rumorosi” o incompleti apre nuove opportunità per migliorare la sanità pubblica, sia nei paesi ad alto reddito che in quelli a basso reddito.
L’aiuto dell’IA
Il professor Moritz Kraemer, autore principale dello studio e ricercatore presso il Pandemic Sciences Institute dell’Università di Oxford, sottolinea come, nei prossimi cinque anni, l’IA possa trasformare la preparazione alle pandemie. Secondo Kraemer, l’intelligenza artificiale aiuterà a prevedere meglio dove inizieranno i focolai e a tracciare la loro traiettoria, utilizzando enormi quantità di dati climatici e socioeconomici raccolti di routine. Inoltre, potrebbe contribuire a prevedere l’impatto delle epidemie sui singoli pazienti, studiando le interazioni tra il sistema immunitario e i patogeni emergenti. Se questi progressi venissero integrati nei sistemi di risposta alle pandemie, avrebbero il potenziale di salvare vite umane e migliorare la preparazione globale alle future minacce sanitarie.
Lo studio evidenzia diversi ambiti in cui l’IA potrebbe avere un impatto significativo, come il miglioramento dei modelli di diffusione delle malattie, la capacità di individuare le aree a maggiore rischio di trasmissione per ottimizzare l’allocazione delle risorse sanitarie, il potenziamento della sorveglianza genetica dei patogeni per accelerare lo sviluppo di vaccini e l’identificazione di nuove varianti. L’intelligenza artificiale potrebbe inoltre facilitare la previsione delle caratteristiche dei nuovi agenti patogeni e della loro probabilità di salto di specie, oltre a migliorare l’analisi dell’evoluzione di varianti di virus noti, come SARS-CoV-2 e influenza, individuando le strategie più efficaci per contrastarle con trattamenti e vaccini. Un altro aspetto promettente riguarda l’integrazione dei dati della popolazione con quelli individuali, raccolti ad esempio tramite dispositivi indossabili, per migliorare il monitoraggio delle epidemie.

Chi trarrà magghiori benefici
Gli autori dello studio sottolineano però che non tutti gli ambiti della preparazione alle pandemie trarranno gli stessi benefici dai progressi dell’IA. Mentre, ad esempio, i modelli di linguaggio per le proteine potrebbero rivoluzionare la comprensione delle mutazioni virali, i modelli predittivi di base potrebbero offrire solo miglioramenti limitati nella stima della velocità di diffusione dei patogeni. Inoltre, mettono in guardia dall’idea che l’IA da sola possa risolvere tutte le sfide legate alle malattie infettive. Sostengono che l’integrazione del giudizio umano nei processi decisionali basati sull’IA potrebbe essere essenziale per superare alcune limitazioni attuali.
Le principali preoccupazioni riguardano la qualità e la rappresentatività dei dati utilizzati per addestrare i modelli di IA, l’accessibilità limitata di questi strumenti alla comunità scientifica più ampia e i rischi legati all’uso di modelli opachi (“black box”) per decisioni critiche in ambito sanitario. Il professor Eric Topol, coautore dello studio e direttore del Scripps Research Translational Institute, evidenzia come il potenziale trasformativo dell’IA nella mitigazione delle pandemie dipenda dalla collaborazione globale e dalla disponibilità di dati di sorveglianza completi e continui. Samir Bhatt, autore principale e ricercatore presso l’Università di Copenaghen e l’Imperial College London, ribadisce l’importanza dell’IA come strumento per supportare i responsabili politici nel prendere decisioni informate su quando e come intervenire durante un’epidemia.