Wafer: la novità contro i tumori al cervello
Forse si accende una luce per quei pazienti affetti da tumori al cervello insensibili all’attacco di farmaci chemioterapici. In media circa 6.4 individui su 100000 (National Cancer Institute) si ammalano ogni anno di questo tipo di patologia e, per capire la gravità della malattia, ben 4.3 su 100000 (National Cancer Institute) ogni anno muoiono. Spesso e volentieri il tumore al cervello non è tanto il tumore principale ma è già una neoplasia metastatica, invasiva e aggressiva, che, come detto, lascia poche speranze.
Lo sviluppo dei wafer antitumorali potrà tracciare forse una strada per permettere ai medici di attaccare il tumore in situ tentando di prevenirne una ricomparsa.
LE DIFFICOLTÀ DI TRATTAMENTO
Per comprendere perché trattare un tumore al cervello è così complesso dobbiamo fare un accenno alla fisiologia di questo organo, così affascinante quanto sconosciuto nel suo complesso.
Il cervello, a differenza della gran parte degli organi del corpo umano, ha una vascolarizzazione assai caratteristica. Esso infatti è sì irrorato da arterie e drenato da vene, ma presenta la cosiddetta barriera emato-encefalica. Questa è data dalla particolare struttura dei vasi capillari che lo nutrono.
Come si vede in foto, questi sono costituiti da cellule endoteliali fittamente stipate, unite da giunzioni strette (tight juctions) e che non presentano fenestrazioni. Essi non permettono, come accade invece nel resto del corpo, l’extravasazione di sostanze non particolarmente abili ad attraversare le membrane cellulari. I farmaci chemioterapici non fanno eccezione. Essi, generalmente, non sono in grado di penetrare tale barriera.
LA SOLUZIONE AL PROBLEMA
La soluzione, in studio già da diverso tempo e ormai in via di perfezionamento, è arrivata dal Massachussetts Institute of Technology (MIT), dove il Prof. Robert Langer ha sviluppato, insieme ad altri collaboratori, un nuovo polimero completamente biodegradabile, in grado di rilasciare in situ il farmaco chemioterapico con ad una velocità stabilita. Una scoperta straordinaria che ha portato molti a considerare il professor Langer uno dei prossimi candidati a ricevere il premio Nobel.
Wafer è il nome di questo fantastico strumento.
LA STORIA
Già nel 1976 il Prof. Langer aveva intuito la possibilità di somministrare in situ un farmaco chemioterapico per aggirare il problema della barriera emato-encefalica. A tal fine propose, insieme a Judha Folkman, noto oncologo statunitense, l’utilizzo di EVAc (Etilene vinil acetato) come mezzo di trasporto dei farmaci. Questa strada fu abbandonata a causa della non biodegradabilità del materiale. Si dovette aspettare qualche anno prima di individuare il giusto mezzo. Nel 1985 fu individuato, dal Prof Langer e dal prof Henry Brem, un neurochirurgo della Jhons Hopkins Medical School, il PCPP:SA, un materiale perfetto, biodegradabie, facilmente modificabile e altamente idrofobico, il che consentiva di proteggere efficacemente il farmaco trasportato.
Da allora si sono susseguiti moltissimi studi e trial clinici per verificare l’effettiva validità della tecnica e nel 1996 si iniziò a testare in vivo la metodica wafer.
COS’È UN WAFER
Ciascun wafer è un dischetto di PCPP:SA ( poly[bis (p-carboxyphenoxy)] propane-sebacic acide ) di circa 14mm di diametro e circa 1mm di spessore, da inserire nel sito specifico dal quale è stata prima estratta la massa tumorale. Questo disco porta al suo interno un farmaco antitumorale che ha la funzione di prevenire una recidiva della neoplasia.
Il farmaco scelto per adempiere a questo compito è il Gliadel®, un farmaco composto principalmente da:
1. Polifeprosan 20, il cui nome IUPAC è 4-[3-(4-carboxyphenoxy)propoxy]benzoic acid e la formula C27H34O10;
2. Carmustina (3.85%), il vero e proprio farmaco antitumorale a rilascio lento. Questa causa l’alchilazione del DNA in corrispondenza dell’ossigeno in posizione 6 della base azotata Guanina. In questo modo blocca la trascrizione, inducendo apoptosi nelle cellule bersaglio.
LA CARMUSTINA: FACCIAMO IL PUNTO
La Carmustina può essere iniettata anche endovena ma presenta un problema non da poco. Pur essendo in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, questa molecola viene smaltita dall’organismo in modo molto rapido. Le infiltrazioni di Carmusina sono eseguite in dosi di circa 30-170mg /m2 e circa il 60% di questa viene smaltito nelle prime 96 ore attraverso le urine, mentre un altro 6% viene espulso con la respirazione sotto forma di CO2. L’utilizzo del wafer, al contrario, permette di rilasciare, nell’arco delle prime settimane dall’impianto, 7.7mg di Carmusina nel sito specifico, aggirando il problema. Si può arrivare ad impiantare un massimo di otto wafer in un singolo individuo, portando la dose di Carmutina rilasciata a 61.6mg. Si tenga conto che anche la stessa Carmustina, in esperimenti in vitro e in cavie, è risultata mutagena e potenzialmente cancerogena, motivo per cui si deve prestare massima attenzione durante il suo utilizzo.
GLI STUDI
Questa tecnica è stata più volte oggetto di studi, i quali hanno confermato la validità della stessa per diverse tipologie di neoplasie cerebrali (Glioblastoma Multiforme, Gliosarcoma, Gliomi in stato avanzato). Si è notato, attraverso trial clinici e studi in cieco e doppio cieco, come la sopravvivenza alle patologie fosse aumentata in caso di trattamento con Gliadel® rispetto all’uso di placebo. I test effettuati in questo senso hanno avuto come soggetti pazienti nei quali i chirurghi erano in grado di rimuovere almeno il 90% della massa tumorale. Si è visto così che la percentuale di sopravvivenza è ovviamente in funzione del tipo di neoplasia e come le eventuali complicazioni sono equamente distribuite tra pazienti riceventi il placebo e pazienti riceventi il farmaco.
I RISCHI
Purtroppo, nonostante i benefici che i wafer di Gliadel® hanno sull’uomo, non si può dire che la battaglia al cancro cerebrale sia vinta, tutt’altro. Per prima cosa gli studi hanno rilevato che questa tecnica non esclude eventuali complicazioni che possono seguire all’operazione. È necessario notare come non siano rare situazioni molto gravi come infarti cerebrali ed ematomi intracranici che portano alla necessità di una nuova operazione in urgenza. È da considerare inoltre che la terapia con wafer non è rivolta a tutti i pazienti. Questa infatti è rivolta al momento solo a coloro che non hanno altre possibilità di cura con metodiche tradizionali e che hanno un altissimo rischio di recidive. Inoltre l’alta mortalità che le neoplasie cerebrali comportano deve essere considerato come un fattore chiave nell’analisi dei dati che i vari studi mettono in luce.
CONCLUSIONI
La tecnica Wafer ha permesso di indirizzare la ricerca contro il tumore al cervello verso nuovi orizzonti, basati su biomateriali sempre più efficienti nella cura e nel trattamento di patologie fino ad oggi incurabili o quasi.
“We hope these studies will encourage others to synthesize and develop novel materials that have the precise chemical, biological and engineering characteristics to address specific medical problems.” ( Prof.Langer)
La strada da fare per sconfiggere questa terribile malattia è ancora lunghissima, ma senz’altro un piccolo passo è stato fatto grazie alla tenacia del prof. Langer, che credendo fermamente nelle proprie idee, ha permesso alle persone affette da tumori cerebrali di avere un barlume di speranza in più.