Mastodonti più diversificati e mobili del previsto: così il clima ha influenzato la loro evoluzione

Illustrazione di una statua di un mastodonte (Canva FOTO) - sciencecue.it
Questi grandi animali sono stati influenzati da grandi cambiamenti ambientali, soprattutto a livello genetico.
C’è qualcosa di incredibilmente affascinante nel pensare ai mastodonti: giganti del passato, simili agli elefanti ma con un’aria più selvaggia, più “primitiva”. Nuove analisi sul loro DNA fossile hanno appena riscritto una parte importante della loro storia evolutiva. Secondo un ampio studio pubblicato su Science Advances, i mastodonti non erano solo grandi viaggiatori, ma anche sorprendentemente diversi dal punto di vista genetico, più di quanto si immaginasse fino a oggi.
Gli scienziati, tra cui un gruppo della Penn State University, hanno scoperto che questi animali migravano su distanze enormi, attraversando l’intero continente nordamericano, spinti dai continui cambiamenti climatici. Si adattavano, scomparivano, e poi tornavano a popolare territori che si erano nuovamente ammorbiditi dopo il ritiro dei ghiacci.
Arrivati in Nord America circa 17 milioni di anni fa dall’Asia, vissero in un continente in fermento: vulcani attivi sulla costa ovest, pianure ancora umide e fitte di vegetazione. Col tempo, la siccità delle Grandi Pianure li separò in popolazioni isolate, ognuna costretta a trovare un proprio equilibrio ecologico.
I resti studiati come zanne, ossa e denti antichi di centinaia di migliaia di anni, hanno fornito materiale genetico abbastanza ben conservato da permettere una vera e propria ricostruzione del loro genoma. Ed è da qui che emergono i nuovi indizi: i mastodonti del Pacifico non erano affatto una semplice “variante regionale”, ma un ramo genetico profondo e indipendente, con un areale che si estendeva dal Messico fino all’Alberta, in Canada.
Una scoperta nata per caso
Questo lavoro è il risultato di una collaborazione con il Tualatin Historical Society e con altri musei e università, come il Penn State University, che ha portato alla sequenza genetica di più esemplari provenienti da Oregon, Nuova Scozia e Ontario. Grazie a moderne tecniche di analisi molecolare, i ricercatori hanno recuperato genomi mitocondriali completi da sette diversi mastodonti.
Alcuni provenivano da depositi di gesso in Nova Scotia, altri da terreni umidi dell’Oregon o da zone sommerse al largo dell’Atlantico. Confrontando le sequenze, è stato possibile identificare nuove ramificazioni genetiche, veri e propri cladi che raccontano una storia fatta di espansioni, estinzioni locali e ritorni ciclici durante i periodi di riscaldamento del Pleistocene.

Migrazioni, incroci e misteri evolutivi
Dall’analisi del DNA, il mastodonte di Tualatin si è rivelato un individuo del gruppo Mammut pacificus, cioè il “mastodonte del Pacifico”, espandendo il suo raggio d’azione ben oltre quanto si pensasse. I ricercatori hanno persino riassegnato un vecchio esemplare canadese allo stesso gruppo genetico, dimostrando che la specie si spingeva fino al nord-ovest del continente. Alberta, infatti, sembra essere stato un vero punto d’incontro tra il mastodonte americano (M. americanum) e quello pacifico, un luogo dove le due popolazioni probabilmente si sovrapponevano e, forse, si incrociavano. Sul lato opposto del continente, le cose erano altrettanto dinamiche.
I mastodonti della costa orientale e dell’Ontario appartenevano a nuovi gruppi genetici che non si erano mai visti prima. Gli studiosi hanno identificato almeno tre ondate migratorie distinte verso nord, avvenute in momenti diversi del Pleistocene, ogni volta spinte dal riscaldamento climatico e dallo scioglimento dei ghiacciai. Quando il clima tornava a raffreddarsi, gli animali si ritiravano verso sud o scomparivano del tutto. Le sorprese non finiscono qui: in Messico, il team ha trovato tracce di una linea genetica del tutto distinta, così antica da far pensare all’esistenza di una terza specie di mastodonte nordamericano, ancora senza nome ufficiale.