Il QI medio è sempre più basso: siamo davvero più stupidi | L’intelligenza artificiale ci condanna: non riusciamo a pensare da soli

Illustrazione di un'AI pericolosa (Canva FOTO) - sciencecue.it
L’Intelligenza Artificiale può essere davvero utile, eppure per certi versi può essere davvero pericolosa. Scopri perché!
Il QI, o quoziente intellettivo, è una misura che cerca di quantificare le capacità cognitive di una persona rispetto alla media della popolazione.
Non indica “quanto si è intelligenti” in senso assoluto, ma piuttosto come si performa in test standardizzati che valutano logica, memoria, ragionamento e comprensione verbale.
Il valore medio è fissato a 100: la maggior parte delle persone (circa il 68%) ha un QI compreso tra 85 e 115. Punteggi molto alti o molto bassi sono rari e, anche se fanno notizia, non raccontano tutto.
Esistono diversi test per misurarlo, come il WAIS per adulti o il WISC per bambini, ma tutti hanno limiti. Fattori culturali, educativi e linguistici possono influenzare il risultato, così come lo stato emotivo o l’allenamento a quel tipo di prove.
Un’abitudine comoda…
Scrivere senza pensare troppo. O meglio: scrivere lasciando che sia qualcun altro a farlo al posto nostro. È un pò quello che sta succedendo con l’utilizzo quotidiano di strumenti come ChatGPT. È veloce, preciso, sa trovare parole che magari non vengono subito in mente. Ma la domanda inizia a serpeggiare: tutto questo ci sta davvero aiutando… o ci sta lentamente spegnendo?
Secondo uno studio del MIT, l’uso prolungato di chatbot per attività come la scrittura porta a una riduzione significativa dell’attività cerebrale – parliamo di un -55% rispetto a chi lavora “a mente libera”, senza alcun supporto esterno. In pratica, meno si pensa, meno il cervello si attiva. È come se, un pò alla volta, si stesse abituando a non fare più fatica. Il problema non è tanto nell’uso occasionale, quanto nella frequenza: più si delega, più si perde l’abitudine a ragionare in profondità.

Un problema da non sottovalutare
Come riportato su Leggo, il test del MIT è stato condotto su 54 studenti, divisi in gruppi: uno ha scritto tutto da solo, uno con Google, l’altro con ChatGPT. I risultati? Chi ha lavorato senza aiuti ha mantenuto una buona attività cerebrale anche quando è passato all’uso degli strumenti. Ma chi ha iniziato con ChatGPT ha faticato a riattivare i circuiti mentali. E ha mostrato cali anche su memoria e riflessione. Una sorta di “pigrizia mentale” che, col tempo, potrebbe diventare strutturale.
Gli scienziati lo chiamano debito cognitivo: più si usa l’intelligenza artificiale, meno si allena la propria. Se si somma questo dato all’uso quotidiano sempre più diffuso di ChatGPT, è facile immaginare uno scenario non troppo rassicurante. Il cervello umano, come un muscolo, ha bisogno di esercizio. Affidarsi troppo a un assistente virtuale rischia di spegnere proprio ciò che ci rende più umani: la capacità di riflettere, scegliere, ricordare.