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Impronta da Neanderthal: il dito d’ocra più antico al mondo

Questa scoperta è molto interessante, e anche importante in quanto viene mostrata un’antichissima impronta digitale neanderthaliana.

Quando si parla di arte preistorica, la mente corre subito alle pitture rupestri, ai segni lasciati con mani impresse sulle pareti di grotte buie e misteriose. Ma a volte, la storia si fa piccola, come un ciottolo, e inaspettatamente profonda. È il caso di un ritrovamento avvenuto in Spagna, nel riparo roccioso di San Lázaro, dove un semplice ciottolo granitico ha raccontato qualcosa di grande.

Su quel ciottolo, lungo appena una quindicina di centimetri, è stato individuato un puntino rosso. Nulla di eclatante all’apparenza. Ma osservando meglio, al microscopio, è saltato fuori un dettaglio sconcertante: all’interno del pigmento si cela un’impronta digitale. Non una qualsiasi, ma la più antica mai rinvenuta (almeno finora), e attribuibile con tutta probabilità a un Neanderthal.

Il dato sorprende ancora di più se si considera l’età dell’oggetto: circa 43.000 anni. Parliamo di un’epoca in cui i Neanderthal stavano per scomparire dal continente europeo. 

Eppure, quel segno impresso col dito, forse con un intento estetico, forse simbolico, getta nuova luce sulla loro mente e sulle loro capacità espressive. Il neanderthal dipingeva, pensava in modo astratto, eppure un’impronta digitale può raccontare qualcosa in più su questa specie.

Il contesto del ritrovamento

Il famoso ciottolo è stato scoperto nel livello H del riparo di San Lázaro, vicino Segovia, in un’area dove si trovano tracce sicure dell’industria musteriana, quella tipica dei Neanderthal come punte Levallois e raschiatoi Quina. In mezzo a questi resti, il ciottolo di leucogranito spiccava per dimensione e forma. Proveniva probabilmente dal vicino fiume Eresma, dove si trovano rari ciottoli simili, ed era stato trasportato intenzionalmente fino al riparo.

A differenza degli altri ciottoli usati come percussori o incudini per scheggiare la pietra, questo non mostrava alcuna traccia d’uso pratico. Nessun segno di urti, né abrasioni. In più, presentava tre piccole conche naturali su una faccia, con al centro un punto rosso. Quell’ocra, distribuita in modo netto e circolare, è risultata essere stata applicata con la punta di un dito. E grazie alle analisi multispettrali, è emersa in modo chiaro l’impronta, con i solchi caratteristici delle creste papillari. Non è un caso: secondo gli autori dello studio, questa potrebbe essere la più antica impronta digitale umana conservata su un oggetto pigmentato.

Illustrazione ravvicinata dell’impronta (Álvarez-Alonso et al., 2025 FOTO) – sciencecue.it

Simbolo, intenzione e pareidolia

Tutto porta a pensare che il gesto non fosse casuale. Non si tratta, infatti, di una semplice macchia. Non ci sono tracce di pigmento altrove nel riparo, e la posizione dell’ocra, rispetto alle tre “coppe” naturali del ciottolo, sembra essere stata scelta con cura. Due le ipotesi in campo: o si tratta di una decorazione priva di significato, fatta per gioco o per estetica, oppure c’è dietro un’intenzione simbolica. In questo secondo caso, l’atto di scegliere quel sasso tra tanti e decorarlo così, potrebbe essere stato guidato da una visione, da un’idea precisa.

E se il disegno non fosse solo un punto? Alcuni studiosi hanno proposto che l’intera composizione possa rappresentare un volto stilizzato, un esempio di cosiddetta pareidolia facciale. Un po’ come quando si scorgono volti tra le nuvole o nei muri scrostati. In effetti, quella faccia levigata dal fiume ha due “occhi”, una “bocca” e quel puntino rosso che, posizionato dove ci si aspetterebbe un naso, completa il quadro. 

Published by
Mattia Papàro