Primo piano

I pinguini imperatore rischiano l’estinzione entro il 2100: allarme scienziati sul cambiamento climatico

Purtroppo i pinguini imperatore potrebbero non esistere più tra pochi anni. Sono le prossime vittime del cambiamento climatico.

Negli ultimi anni, la comunità scientifica ha iniziato a lanciare l’allarme: i pinguini imperatore, quelli “giganteschi” che convivono con il gelo antartico, rischiano grosso. Già fra il 2009 e il 2018 si era registrato un calo di quasi il 10% della popolazione globale, con un leggero rimbalzo fino al 2018. 

Il focus di uno studio pubblicato il 10 giugno 2025 in Communications Earth & Environment è il settore tra 0° e 90° O, ovvero fra Dronning Maud Land e il Mare di Bellingshausen, area che ospita circa un terzo di tutti i pinguini imperatore del pianeta. E la fotografia aggiornata fino al 2023 non è incoraggiante.

I ricercatori hanno utilizzato immagini satellitari ad altissima risoluzione, modelli Markov e statistiche bayesiane per stimare la variazione di presenza di uccelli adulti in primavera. Il risultato è un crollo del 22% tra il 2009 e il 2023, poco più dell’1,5% all’anno. Un trend molto più rapido rispetto alle proiezioni demografiche basate su scenari climatici eccessivamente pessimisti .

Eppure, resta una domanda aperta: questo declino così marcato riguarda solo questa regione o è un fenomeno circumpolare? Serve espandere le analisi a tutto il continente per capire se il fenomeno è generalizzato o limitato a questo settore.

Metodi e numeri che pesano

Lo studio si basa su 241 immagini satellitari VHR (molte in primavera, quando parte della colonia è presente) e su un modello bayesiano raffinato, che integra incertezza e variazioni stagionali . Resta il dubbio se ogni pixel “bianco” corrisponda a un pinguino, ma in pratica questo limite è costante nel tempo, quindi il trend resta solido.

Il risultato? Una riduzione di circa il 22% tra il 2009 e il 2023, con un tasso annuo stimato del −1,6%. Un dato che ha il 91% di probabilità di indicare un crollo del 30% in tre generazioni (~48 anni), ben superiore alle previsioni demografiche basate su ipotesi climatiche estremamente negative (Fretwell et al., 2025).

Illustrazione di alcuni pinguini imperatori giovanili (Wikipedia Hannes Grobe_AWI FOTO) -sciencecue.it

Cause, variazioni locali e futuro incerto

Le cause del declino non sono univoche. Senza dubbio, il ghiaccio marino stagionale e il ghiaccio costiero su cui nidificano gli imperatori hanno un ruolo chiave. Ma le maggiori perdite si sono verificate proprio quando il ghiaccio era calato drammaticamente (2020–2023), con veri e propri fallimenti della nidificazione in alcune colonie. La variabilità regionale è alta. In Weddell Sea, per esempio, dopo il collasso della colonia di Halley Bay nel 2016, si è visto uno spostamento verso Dawson‑Lambton e un lieve recupero fino al 2018. Ma il calo complessivo nello stesso arco temporale resta evidente .

Tra gli altri fattori sospettati: cambiamenti nei sistemi alimentari marini, aumento delle tempeste autunnali o abbondanti piogge primaverili che inzuppano i nidi, scarsa neve per dissetare i pulcini e minore capacità di aggregazione termica (huddling) in colonie più piccole . In sintesi, i numeri di questo studio (−22% in 15 anni) non lasciano spazio a interpretazioni rassicuranti. Il declino evidente in questo settore supera le proiezioni e lancia un segnale urgente: se le tendenze attuali si estendessero all’intero continente, i pinguini imperatore dovrebbero essere considerati “vulnerabili” (IUCN), in attesa di protezioni internazionali più solide (Fonte: Fretwell et al., 2025).

Published by
Mattia Papàro