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Modelli sismici rivelano impatti differenti a seconda dei suoli: il caso di Città del Messico

I terremoti non sono tutti uguali, e possono creare danni diversi in base al suolo e a tantissimi altri fattori geologici.

Hai presente quando senti parlare di un terremoto e pensi subito a quei momenti drammatici, tipo quello del 1985 a Città del Messico? Beh, ultimamente la storia sta un po’ cambiando. Non servono scosse fortissime per mettere in ginocchio una città. Alcuni piccoli terremoti degli ultimi anni, tipo quelli del 2019 e del 2023, hanno fatto tremare parecchio la capitale messicana, lasciando tutti un po’ perplessi: “Com’è possibile che una scossetta così causi tutto questo scompiglio?”

Due ricercatori dell’UNAM (l’Università Nazionale Autonoma del Messico), Miguel Jaimes e Gerardo Suárez, se lo sono chiesto sul serio. E così si sono messi al lavoro per simulare cosa accadrebbe se un terremoto di magnitudo media, diciamo sui 5.5, colpisse alcune zone della città. Spoiler: non finisce benissimo.

Il loro studio, pubblicato nel Bulletin of the Seismological Society of America, parte da tre zone specifiche che hanno già visto movimenti sismici in passato: La Magdalena Contreras, San Juan de Aragón e Milpa Alta. Hanno cercato di prevedere quali edifici si danneggerebbero, quanti, e dove. E ovviamente hanno tenuto conto di un fattore fondamentale: la geologia del sottosuolo. Perché sì, sotto ai nostri piedi si nasconde più di quanto pensiamo.

Ecco, la cosa sorprendente è quanto la composizione del terreno possa cambiare le carte in tavola. Non parliamo di pochi dettagli, eh: ci sono zone dove le case vibrano come tamburi, e altre dove invece resistono molto meglio.

Il problema non è solo la magnitudo

Allora, facciamo un passo indietro. Quando si parla di terremoti, la maggior parte della gente si focalizza subito sulla magnitudo, giusto? Tipo: “È stato un 7.1? Cavolo!” oppure “Solo un 4.9? Bah, nulla di che.” Ma questo studio mostra che, in realtà, anche un terremoto di intensità media può fare parecchi danni, se colpisce il posto giusto (o sbagliato, dipende dai punti di vista). Prendiamo ad esempio la zona di San Juan de Aragón, che si trova nella cosiddetta “zona lacustre” di Città del Messico. Qui il terreno è una specie di gelatina: morbido, saturo d’acqua, e decisamente poco affidabile in caso di scosse. I ricercatori stimano che un terremoto lì potrebbe danneggiare fino al 15% degli edifici bassi (uno o due piani). E stiamo parlando solo di quelli residenziali. 

Un po’ meglio va nella zona di transizione, La Magdalena, dove il terreno inizia a cambiare ma non è ancora roccioso. Lì i danni sarebbero attorno al 13%. Mentre Milpa Alta, che si trova in zona collinare più stabile, se la caverebbe con un 5% di danni. Una cosa interessante che dice Suárez (uno dei due autori) è che l’effetto del terremoto dipende tantissimo dal tipo di terreno, più ancora che dalla forza in sé. E infatti il vero punto è che la città deve iniziare a prendere sul serio anche i terremoti “locali”, quelli piccoli ma vicini, non solo quelli potenzialmente distruttivi.

Illustrazione di Città del Messico (Pexels FOTO) – www.sciencecue.it

Non è solo una questione di altezza… ma quasi

Un altro aspetto super curioso è come i diversi edifici rispondano alle scosse. E no, non c’entra solo l’altezza, ma anche la frequenza delle onde sismiche. Sai quando spingi un’altalena nel momento giusto e va sempre più in alto? Ecco, le onde sismiche fanno un po’ la stessa cosa: se “indovinano” la frequenza naturale dell’edificio, gli danno una spinta in più. E questo succede spesso con le case basse, quelle da uno o due piani. Infatti, secondo il modello dei due ricercatori, sono proprio queste strutture a soffrire di più.

Quelle alte, tipo sopra gli 11 piani, tutto sommato se la cavano bene in tutti e tre gli scenari. Però gli edifici di media altezza, diciamo tra i 3 e i 10 piani, iniziano a mostrare problemi seri, soprattutto nella zona del vecchio lago. È come se ogni tipo di palazzo avesse il suo punto debole, e il terreno sapesse esattamente dove colpire. Il che, detta così, suona anche un po’ inquietante. In pratica, la lezione è chiara: Città del Messico deve smettere di concentrarsi solo sui terremoti “grandi e lontani”, e iniziare a considerare anche quelli “piccoli ma vicini”. Perché se il terreno non è stabile, e se le onde si mettono in sintonia con le strutture, il disastro può arrivare anche senza che nessuno se lo aspetti. E magari, la prossima volta che pensiamo “Tanto era solo un 5.0 di magnitudo”, ci penseremo due volte.

Published by
Mattia Papàro